In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio… e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi… Così recita il prologo del Vangelo di Giovanni.
Il mistero dell’Incarnazione del Figlio (il Logo) viene quest’anno, alla Cappella Palatina, espresso ponendo il Bambino Gesù direttamente su un grande libro, segno tangibile della Parola.
Trattasi di un codice membranaceo manoscritto del 1608, aperto su una delle antifone di Natale, con notazione in gregoriano e miniatura della Natività.
La nudità del Cristo Bambino è riferimento alla Sua morte sulla croce e al sepolcro da cui risorge mentre il conopeo copripisside, in rete di filo d’oro, poggiato sul suo corpo ha duplice valenza: eucaristica, poiché Egli è il Pane vivo disceso dal Cielo, ed ecclesiale in quanto Egli ha costituito i suoi Apostoli pescatori di uomini.
Il Bambino reca in mano, quale regale scettro, una canna con cui, durante la sua Passione, deriso, coperto da un manto di porpora, colore che esprime regalità e divinità (per tal ragione il basamento è rivestito da un tessuto damascato con motivo a griglia dal fondo rosso purpureo), verrà percosso.
Una corona pensile, con globo crucigero apicale, ci ricorda che Cristo, seppur Bambino, è Re dell’Universo tanto che a Lui i Magi tributano l’onore dell’oro e dell’incenso riservato a Dio e ai re.
Il nimbo è costituito da un grande piatto da parata seicentesco, dell’argentiere messinese Dieco Rizzo, umbonato, esapartito, dall’indubbia valenza cristologica essendo centrato dalla rappresentazione dell’Eliotropo (il fiore di Girasole) a sottolineare che Cristo è il nuovo sole che sorge.
In Lui si ha il compimento della Creazione che ha avuto luogo in sei giorni, dal momento che recita, sempre l’evangelista Giovanni nel suo prologo, “che tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di ciò che esiste”. Tutto il creato era in attesa del Redentore.
Altre essenze sono rappresentative della mistagogia cristologica in specie il Tulipano, pure nel piatto presente, segno dell’amore divino, e il Giglio connesso a Maria Madre di Dio.
Una raggiera di spighe di Grano a contornare il nimbo e un mannello di spighe ai sui piedi sottolineano che egli è il Pane vivo disceso dal Cielo, vittima sacrificale per la redenzione dell’umanità.
Acoronamento del tronetto è posto un fastigio mistilineo d’argento che reca, tra i decori, le conchiglie che sono simbolo del pellegrinaggio costituito dal cammino del cristiano verso l’amore di Cristo, segno sapienziale e richiamo alle perle che, nella visione dell’Apocalisse di S. Giovanni, sono le porte della Gerusalemme celeste. Le conchiglie, che dall’acqua provengono, sono pure memoria del sacramento del Battesimo che viene amministrato utilizzando una conchiglia, a volte a formare la conca di un mestolo. Quand’anche s’usi la mano essa viene posta a conca, richiamando proprio la conchiglia.
S’intravvede parte di una rosa dei venti, simbolo rappresentativo del Cristo, Re dell’Universo e centro del Mondo.
Asostegno dei fiori che ornano il tronetto è un basamento decorato con un motivo embricato a richiamare le squame del pesce (nell’acronimo greco ICHTHUS è Iesous Christos Theou Huios Soter- Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore) contornato da seicenteschi vasi d’argento rappresentativi della grazia che abbondantemente è riversata all’umanità dal grembo virginale di Maria. Vi furono aggiunti pampini d’Edera cuoriforme che è antico simbolo d’immortalità e pertanto di vita eterna.
Ai lati due lampade pensili le cui fiammelle ricordano che Cristo è Luce viva, Luce del mondo e chi segue Lui non brancolerà nel buio ed avrà la vita eterna.
La composizione floreale che vi è posta innanzi reca tra le essenze verdi: l’Oleandro, pianta venefica sia nei bellissimi fiori che nelle foglie. In antico vi si ricavava l’oleandrina, uguento dalle proprietà terapeutiche; il Ficus Benjamin che nel nome richiama il fico, albero ritenuto nel Medioevo del peccato, che è però richiamo alla Salvezza, perché la redenzione operata da Cristo cancella il peccato. O felix culpa recita l’Exultet (l’annunzio della Pasqua). Nel complemento Benjamin, che vuol dire prediletto, poi è il richiamo esplicito ad una delle tribù d’Israele; il Cipresso è albero dell’immortalità perché resinoso ed inattaccabile dai parassiti. Nei camposanti è augurio di resurrezione; le grandi foglie lanceolate dell’Aspidistria ci ricordano della lancia che trafiggerà il costato del Cristo crocifisso. Tra i Gigli profumati, che richiamano il virgineo utero della Theothokos e la Gipsophila, il piccolissimo fiore bianco che rappresenta la predilezione divina per i piccoli e gli umili, i rami d’Ilex con le bacche rosse che sono simbolico segno del sangue versato dal Cristo.
CAPPELLA PALATINA- PALERMO- NATALE DEL SIGNORE- a.D. MMXIV