Statua dell'Immacolata in argento


 

Verso la fine del Seicento l'argentiere Andrea Mamingari , Padre Gesuita ( caso non raro per altro in Sicilia)  realizzò diverse suppellettili liturgiche per la Cappella Palatina , ed è a lui, come è ormai opinione consolidata,  da riferire il marchio A*M intramezzato da un asterisco. Delle diverse suppellettili ...

 

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Baculo di San Cataldo


 

Il pastorale detto di san Cataldo, è conservato nel Tesoro della Cappella Palatina. Il baculo, originariamente interessato da una ornamentazione a cerchietti incisi, subì un drastico intervento di rilavorazione attraverso l’inserimento di paste vitree che ne alterò l’aspetto originario. L’opera è stata collegata al riccio descritto come “vitreis lapidibus plenum” in un documento conservato nel tabularium della Cappella Palatina di Palermo (Cat. Palermo 1995, pp. 174-177, n. 37 [C. Guastella]), la cui datazione oscilla tra il settimo e l’ottavo decennio del XII secolo.Se l’aggiunta della serrata decorazione a paste vitree può collocarsi a ridosso della stesura del documento, l’intaglio dell’avorio può invece porsi intorno alla metà dello stesso secolo.

Tratto da " Gli avori medievali " di Castronovo, Crivello e Tomasi.


Il Crocifisso dell'Inquisizione

Il Crocifisso ligneo del Tribunale dell’Inquisizione è conservato presso la Cappella Palatina.

Il Tribunale, detto anche del Sant’Offízio, ebbe sede per circa quarant’anni nel Palazzo Reale, ma nel 1553 fu trasferito nel Castello a mare dove rimase sino al 1605. In questo anno ebbe come sede definitiva l’edificio dello Steri, la trecentesca dimora feudale della potente famiglia dei Chiaramonte, sino al 1782, anno in cui fu ufficialmente abolito, dopo quasi tre secoli di vita.[1]

Nel corso della ricognizione per redigere l’inventario di quanto si trovava in quel palazzo, fu rinvenuto nella cappella privata degli inquisitori un Crocifisso ligneo di fattura cinquecentesca, e quindi anteriore alla data di installazione del Sant’Offizio nello Steri, che si diceva provenisse dalla vicina chiesa parrocchiale di S. Nicolò della Kalsa. Secondo il Villabianca, questo Crocifisso era quello utilizzato dagli inquisitori, davanti al quale i giudicati rendevano le loro confessioni. Conteso tra il parroco di S. Nicolò della Kalsa che ne rivendicava la proprietà, e i Padri Domenicani, il viceré Caracciolo ordinò che, all’alba del 6 luglio 1782, il Crocifisso venisse segretamente trasportato nel Palazzo Reale ed esposto nella chiesa sottostante alla Cappella Palatina dedicata alla Madonna delle Grazie, ponendolo nell’ambulacro situato di fronte all’altare maggiore.

Filippo Pottino, a proposito di questo Crocifisso scrisse: «Testimone misericorde di esasperati appelli e di spirituali tragedie, da quel luogo aduggiato di tristezza, di lugubri lamenti, di feroci condanne, passò il Cristo Crocifisso al silenzio mistico di codesto raccolto sacello dove soltanto sommesse preghiere si levarono e fiduciose invocazioni, mentre sacri riti vi si compivano per i vivi e per i morti».[2]

Nell’Ottocento, il Crocifisso venne posto su un reliquario in legno di modesta fattura e successivamente rimase nascosto poiché l’arcone a sesto acuto posto di fronte all’altare maggiore venne murato per impedire l’accesso all’ambulacro posteriore a quel tempo ancora inesplorato e quindi poco sicuro.

Con i restauri della Chiesa Inferiore, sotto Francesco Valenti prima e terminati da Mario Guiotto, ambedue Soprintendenti ai Monumenti prima e dopo l’ultimo conflitto mondiale, il Crocifisso dell’Inquisizione ritornò ad essere visibile, ma purtroppo in un avanzato stato di degrado provocato sia dall’umidità del luogo che dalla scarsa ventilazione. Restaurato a cura della Sezione per i beni artistici e storici della Soprintendenza per i beni culturali e ambientali, ritornò alla Cappella Palatina, posto ‘provvisoriamente’ nella sua sacrestia. Inizialmente esposto, in modo infelice nella parete d’ingresso della sacrestia, oggi ha trovato la sua collocazione più adeguata nella parete centrale della medesima.

 

Liberamente tratto da:

Rosario La Duca, Nostro Signore dei disperati, in «Cronache Parlamentari Siciliane», n.s., 12 (10/1995) pp. 53-55.

 



[1] Cf. Villabianca (F.M. Emanuele e Gaetani, marchese di), Diario palermitano dall’anno 1745 sino al 21 gennaio 1802, mss. dei secc. XVIII-XIX, Biblioteca Comunale di Palermo, ai segni Qq D 97-117; ora in «Biblioteca Storica e Letteraria di Sicilia», a cura di G. Di Marzo, L. Pedone Lauriel, Palermo 1880, s. I, vol. XVIII, p. 254.

[2]  F. Pottino, La cripta della Cappella Palatina di Palermo. Storia e leggende - Arte e culto, in «Archivio Storico Siciliano», s. III vol. XV (1964) p. 19.